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Da “Il Sole 24 Ore” del 6 luglio 2016


“Un banale tamponamento cittadino potrebbe determinare, anche in assenza di querela, l’avvio di un procedimento penale per lesioni personali stradali gravi, ex articolo 590 bis C.p., “semplicemente” perché la vittima del tamponamento lamenta – in buona o cattiva fede non si sa, ma in modo in ogni caso non obiettivabile – la persistenza di dolore e/o mal di testa, tale da impedirgli di condurre la sua vita “normale” e perché – come detto – i Vigili intervenuti sul luogo dell’incidente hanno contestato il mancato rispetto della distanza di sicurezza (che, detto per inciso, in città non rispetta praticamente nessuno) e, quindi, una «violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale».


Non pare possano esservi dubbi sul fatto che una situazione così delineata non possa certo definirsi grave e che, conseguentemente, alla luce anche del limitato allarme sociale suscitato da una simile condotta e dell'altrettanto limitato grado di colpa in essa ravvisabile, anche la risposta sanzionatoria debba essere piuttosto lieve o comunque contenuta e adeguata al comportamento censurato. E infatti il processo che ne derivasse potrebbe essere definito con un patteggiamento e la conseguente applicazione di una pena “minima” di un mese e 10 giorni di reclusione, convertibili in pena pecuniaria (nella misura di 10.000 euro ai sensi dell’articolo 53 legge n. 689/1981) o suscettibili di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, ex articolo 163 C.p..

Una risposta sanzionatoria non certo priva di efficacia punitiva, ad avviso di chi scrive, ma comunque non irragionevole.

Ciò che, invece, appare completamente irragionevole è l’effetto che da una simile condanna deriverebbe – inderogabilmente, si badi bene – all’imputato dall’applicazione dell’articolo 222 del Codice della strada. Il comma 2, quarto periodo, di tale norma, infatti, senza prevedere alcun potere discrezionale in capo al giudice, stabilisce che alla condanna – quand’anche frutto di un patteggiamento e quand’anche sia stata concessa la sospensione condizionale della pena – per il reato (tra l’altro) di cui all’articolo 590 bis C.p. consegua la revoca della patente.

Ma soprattutto – ed è qui che la norma novellata mostra tutto il suo aberrante distacco dalla realtà fattuale sottostante – il successivo comma 3 ter prevede che la revoca abbia una durata di almeno 5 anni e ciò sia in un caso come quello ipotizzato (di lesione “grave” per superamento dei 40 giorni come conseguenza di un tamponamento), sia nel caso di omicidio stradale ex articolo 589 bis primo comma C.p. (non aggravato ai sensi dei commi successivi). Una sanzione accessoria “senza se e senza ma”, come si usa dire, da applicare a chiunque senza eccezioni, dallo studente che usa l’auto per pigrizia, perché è più comodo che prendere i mezzi pubblici o fare una passeggiata, a chi con l’auto lavora ogni giorno e dunque, letteralmente, “vive”.


Si tratta di una disposizione che appare assolutamente irragionevole, sia perché tratta allo stesso modo situazioni tanto diverse quali l’omicidio e la lesione, pur grave, sia per la mancanza di qualsiasi discrezionalità riconosciuta al giudice, vuoi nell’applicazione della sanzione, vuoi soprattutto nella sua estensione temporale. Non si vuol davvero credere che il legislatore, consapevolmente, abbia ritenuto giusto che, a fronte di comportamenti potenzialmente tanto lievi e di conseguenze tanto incerte e soggettive, possa anzi debba obbligatoriamente conseguire la revoca della patente per 5 anni, perché neppure Dracone – oltre 2600 anni fa – fu capace di giungere a tanto. Ma non conforta molto di più, a dir il vero, neppure pensare che nel paese si legiferi ormai più “di pancia” che di testa e, comunque, con tanta sciatteria.

La sola speranza, a questo punto, è che il Parlamento, resosi conto del pasticcio, voglia porvi rimedio quanto prima, auspicabilmente senza porre una pezza peggiore del buco.”